Immersi nella mediasfera
di Silvia Bronzato

Avete mai sentito parlare di mediasfera? Il termine nasce negli anni Novanta grazie al teorico Règis Debray, che lo aveva coniato per indicare ciascuna era “mediatica” da lui individuata, che portava con sé differenti caratteristiche (oralità, lettura, immagine…), ma ha assunto negli ultimi decenni una nuova concezione grazie al lavoro del linguista Raffaele Simone, che lo ha relazionato al panorama mediale della contemporaneità.

 Nel suo libro Presi nella rete (2012), egli indica la mediasfera come l’ambiente in cui i media hanno influenza diretta sulle nostre azioni quotidiane; un’area sempre più estesa grazie alla convergenza di diversi media negli stessi dispositivi, come negli smartphone che abbiamo sempre a portata di mano. In altre parole, la mediasfera può rappresentare il punto di incontro tra quello che consideriamo il mondo reale, in cui si agisce in prima persona e il mondo virtuale, quello costruito attraverso le nuove tecnologie. Internet, per esempio, ha cambiato radicalmente il nostro modo di comportarci: che si stia navigando in rete oppure no, esso è in grado di influenzarci anche attraverso il comportamento degli altri. Pensate, per esempio, all’effetto che può avere su di noi qualcuno che parla a voce alta al telefono o che ascolta la musica senza auricolari sui mezzi pubblici; l’uso che gli altri fanno di questi strumenti diventa in qualche modo parte anche del nostro ambiente personale, creando in alcuni casi ulteriori ansie e sforzi cognitivi a cui far fronte.

Sebbene in situazioni normali vivere nella mediasfera possa influenzare negativamente la vita dell’uomo, in questo momento delicato l’imponente presenza della sfera mediatica e tecnologica nelle nostre vite ha portato a molti risvolti positivi, almeno dal punto di vista comunicativo e sociale; la possibilità di poter comunicare a distanza con i propri cari nonostante la fase di emergenza #COVID-19 e di distanziamento sociale è infatti un grande strumento, poco preferito fino a questo momento, in grado di stemperare, anche se solo in parte, le ansie di un periodo prolungato di isolamento e di emergenza sanitaria.

In effetti, dal punto di vista delle relazioni interpersonali, i social media sono molto utili a creare legami anche con persone che ci stanno lontano, ma che hanno interessi simili a noi; io stessa ho conosciuto persone attraverso i social network, sviluppando in seguito amicizie al di fuori della rete; la mediazione della comunicazione può rivelarsi in questo caso molto importante per chi prova più insicurezza nell’approcciarsi agli altri e costituire quindi una maniera meno estrema di mettersi in gioco.

Per trasmettere, cercare, utilizzare e rielaborare conoscenze ci sono molti metodi e canali differenti. Dei differenti metodi non ce n’è uno migliore in assoluto, sono completamente differenti l’uno dall’altro. Utilizzare un video come fonte di informazione significa, in un certo senso, tornare indietro all’era in cui l’oralità era l’unica fonte di ampliamento delle conoscenze, ma in questo caso la presenza di supporto visivo ne può ulteriormente potenziare l’efficacia. Il video è utile perché presenta in pochi minuti molte informazioni, ma dall’altra parte guardare un video può portare a un sovraccarico cognitivo significativo, per cui molte informazioni sfuggono e non vengono assimilate.

D’altra parte, tuttavia, la lettura richiede un impegno attentivo molto più intenso e l’ascolto manca della parte visuale, utile nell’elaborazione dei concetti che ci vengono presentati. Integrare tutte queste modalità, come quella visiva e quella della lettura, aggiungendone anche altre se disponibili, sembra di conseguenza essere il metodo migliore per ottenerne tutti i vantaggi e allo stesso tempo compensare le influenze negative a cui si può essere esposti con l’uso di un solo supporto.

Possiamo seguire, in questo senso, Nicholas Carr quando afferma che le nuove innovazioni tecnologiche stiano portando a cambiamenti nei modi e nei processi di pensiero. Il modo di funzionare di memoria e attenzione si stanno adattando ai nuovi mezzi. Siamo più veloci, ma anche più superficiali. Ci stanchiamo prima. Preferiamo testi brevi e sintetici e ci piacare saltare da un argomento all'altro. Tuttavia, tutto ciò non è esclusivamente negativo, né avrò conseguenze necessariamente negative.

Immergersi nella mediasfera significa anche sviluppare nuovi strumenti che ci permetteranno di non perderci e di sfruttare le nuove opportunità da essa offerte. Certo, non perdersi significa anche non dimenticare da dove si è partiti!

Qualche lettura:

Carr, N. (2011), Internet ci rende stupidi?, Milano: Raffaello Cortina

Dennett, D.C ([1996] 2000), La mente e le menti, Milano: BUR

Levy, P. (1996), L’intelligenza collettiva: per un’antropologia del cyberspazio, Milano: Feltrinelli

Wallace, P. (2017), La psicologia di Internet, Milano: Raffaello Cortina Editore