L'incertezza del poeta Dipinto di Giorgio de Chirico, 1913

Decidere nell’incertezza


In questi giorni di inquietudine si vorrebbero certezze: a tutti i livelli, dal singolo cittadino al ministro, da chi deve prendere decisioni a chi semplicemente le accetta o le subisce. Ci rivolge così alla scienza, alla ricerca non solo di delucidazioni o consigli, ma con l’esplicita (spesso urlata) richiesta di certezza.

Purtroppo, però, la scienza non è la patria delle certezze. Se è vero che la scienza muove verso la ricerca di verifiche empiriche a specifiche asserzioni (in questo senso, ricerca la verità) è anche vero che le verità scientifiche si collocano all’interno di un sistema di riferimento specifico. Dato che più sistemi di riferimento possono essere validi e razionali, la scelta di quale sistema adottare dipende fattori che vengono prima del procedimento scientifico e dipende fortemente da fattori cognitivi, emotivi, sociali, economici e così via.

La scelta di policy maker (come di un governatore o di un ministro) non può ancorarsi “semplicemente” a una verità scientifica, in quanto essa assume comunque peso all’interno di un sistema di riferimento che deve essere a sua volta selezionato e non certo da parte degli scienziati (o degli esperti). E’ dunque compito del decisore definire l’orizzonte entro il quale applicare le “verità scientifiche”, in virtù di considerazioni socio-economiche (per esempio), che sono altrettanto valide delle asserzioni scientifiche.

In primo luogo, dunque, un decisore dovrebbe decidere il proprio sistema di riferimento, gli obbiettivi, le priorità e così via. In secondo luogo, un decisore dovrebbe sapere cosa significa decidere in stato di incertezza, in quanto il più delle volte l’incertezza non può essere azzerata. Il caso della gestione di una epidemia è emblematico: abbiamo numeri, previsioni, probabilità, proiezioni, dati epidemiologici, chimici, biologici, fisici, meteorologici… ma ben poche certezze. Ciò non significa che si debba rinunciare a decidere (lasciando la parola alla Scienza) e che decidere diventi irrazionale.

La scelta in condizioni d’incertezza (si può usare il termine ambiguità in riferimento a quei casi per i quali non è possibile stimare il grado di rischio delle varie opzioni) ci mette di fronte a una serie di possibili eventi, ciascuno caratterizzato da una certa probabilità, ma non sappiamo quale effettivamente si verificherà. Per esempio lanciando una moneta non sappiamo se uscirà testa o croce, ma sappiamo che entrambe potranno verificarsi con una probabilità del 50%. Il decisore ha il problema di compiere la scelta migliore (per esempio comprare o no il diritto a partecipare a una lotteria che consiste nel lancio della moneta) all’interno però di un contesto d’incertezza. Il punto di partenza nel valutare la desiderabilità di una lotteria è di calcolarne il valore atteso (http://progettomatematica.dm.unibo.it/Prob2/9indici.html)

Supponiamo di trovarci di fronte a due lotterie: A in cui si vincono 10 euro con probabilità 90% e 0 con probabilità 10; B in cui si vincono 10 euro con probabilità 80% e 0 con probabilità 20%. In questo caso la scelta fra le distribuzioni p = (90,10) e q = (80,20) cadrà intuitivamente su p che garantisce l’esito migliore con una maggiore probabilità. Il processo di valutazione può avvenire direttamente sulle distribuzioni, in quanto i premi (gli esiti possibili) sono gli stessi (il testo contiene estratti del libro “Psicoeconomia della vita quotidiana”, 2010, McGraw-Hill)

Il meccanismo decisionale è estensibile anche al caso in cui le lotterie siano caratterizzate da esiti diversi. Per farlo si considerano in ogni lotteria tutti i possibili esiti, associando però probabilità 0 a quelli che possono effettivamente verificarsi solo nell’altra lotteria. Per esempio: A permette di vincere 10 euro con probabilità 80, 5 con probabilità 10% e 0 con probabilità 10%; B permette di vincere 20 euro con probabilità 50% e 0 con probabilità 50%. A questo punto possiamo costruirci un unico set di possibili esiti dato dall’unione degli esiti di ciascuna lotteria, cioè (20, 10, 5, 0), assegnando la distribuzione p = (0%, 80%, 10%; 10%) alla lotteria A e q = (50%, 0%, 0%, 50%) alla lotteria B. In questo modo, possiamo confrontare direttamente le due distribuzioni, senza considerare gli esiti associati, perché sono gli stessi, anche se associati a probabilità differenti.

La scelta basata sull’utilità attesa può essere generalizzata al caso in cui vi sia un numero di lotterie maggiore di due, e potenzialmente anche un numero infinito di lotterie, così come a lotterie che prevedano degli esiti che non hanno una natura monetaria.

L’utilità di un certo esito può essere contingente a diverse circostanze per la stessa persona, così come può differire tra vari individui. Non sorprende quindi che si possano osservare scelte differenti di fronte alle stesse distribuzioni di probabilità sui medesimi eventi. In questo paragrafo approfondiamo il motivo principale per cui le scelte in condizioni di incertezza possono differire: l’attitudine verso il rischio.

Osserviamo facilmente come molte persone, ma non la totalità, giochino al lotto o acquistino biglietti delle lotterie o gratta e vinci, così come non tutti vanno al casinò. Similmente, solo alcuni stipulano assicurazioni volontarie sulla vita o sul furto della macchina. Perché? Il motivo è che, anche a parità di condizioni oggettive come nel caso delle estrazioni del lotto, nelle preferenze individuali è incorporato il grado di desiderabilità del rischio. In altre parole, il rischio può piacere al punto da andare a cercarlo tramite il gioco d’azzardo o può non piacere al punto da volerlo eliminare tramite l’acquisto di un’assicurazione. Si parla, in gergo, di avversione o di propensione al rischio.

Spieghiamo questi concetti con un esempio molto semplice, confrontando due lotterie che presentano lo stesso valore atteso ma un diverso profilo di rischio, e prendendo a prestito il celebre pollo di Trilussa. Supponiamo di avere due lotterie: A che può dare nulla oppure due polli con la stessa probabilità, oppure B che dà un pollo con certezza. Quest’ultima può essere vista come una lotteria degenere che assegna tutta la probabilità a un singolo evento e che di fatto annulla il rischio dando con certezza esattamente il valore atteso della lotteria A. Vediamo quali sono le caratteristiche delle preferenze degli individui, così come rappresentate dalla funzione di utilità, affinché ciascuna delle lotterie sia preferita.

Partiamo dal caso in cui l’agente preferisce un pollo con certezza (lotteria B) a un pollo in valore atteso (lotteria A) che ci segnala come l’agente preferisca eliminare il rischio, identificando il caso di avversione al rischio.

Se l’agente preferisce il pollo con certezza, significa che l’utilità attesa della lotteria B, ovvero l’utilità di un pollo, è maggiore dell’utilità attesa della lotteria A: u(1)>EU(A). Questo avviene quando la sua funzione di utilità è concava, ovvero caratterizzata da incrementi via via minori man mano che aumenta la quantità del bene a disposizione. La differenza tra u(2) e u(1) calcolata sulla curva concava (linea continua) è minore della differenza tra u(2) e u(1), misurata sull’ipotetica retta (linea tratteggiata) di una funzione di utilità lineare (neutra rispetto al rischio).

L’utilità attesa della lotteria A si calcola semplicemente come EU(A)= 0.5*u(0) + 0.5*u(2).

Considerato che gli eventi sono equiprobabili, in questo particolare esempio l’utilità attesa di A è semplicemente la media aritmetica di u(0) e u(2). Graficamente, significa che si trova a metà strada e, se la funzione di utilità è concava, per costruzione si troverà al di sotto dell’utilità di un pollo sicuro.

Questo consumatore preferisce strettamente un pollo sicuro a un pollo in valore atteso. Non solo potendo scegliere opterebbe per il primo, ma nel caso in cui si trovasse nella situazione descritta dalla lotteria A sarebbe addirittura disposto a pagare un premio per liberarsi del rischio. Si noti come pagare un premio per ridurre (per semplicità diciamo eliminare) un rischio definisca esattamente il concetto di assicurazione.

La mente umana e la probabilità

Per la maggior parte degli agenti, inoltre, il calcolo delle probabilità appare materia poco malleabile. Com’è possibile, quindi, utilizzare il modello standard in situazioni meno formali, quando, cioè, l’incertezza riguardare anche la distribuzione di probabilità? Definiamo ambiguità l’incertezza sulla distribuzione di probabilità.

Per ampliare il nostro campo di comprensione è necessario, a questo punto, introdurre un diverso concetto di probabilità che rinuncia a pretese di oggettività. Un tentativo di risposta a questa necessità fu proposto e sviluppato da Ramsey (1926), da De Finetti (1937) e da Savage (1954), che definirono il concetto di probabilità soggettiva. Vediamo innanzitutto di cosa si tratta.

Da un punto di vista dell’esperienza concreta, al di fuori dei modelli matematici, si potrebbe pensare che il concetto di probabilità altro non sia che un difetto di conoscenza. Infatti, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie, la mente umana potrebbe benissimo risolvere l’incertezza e specificare esattamente l’evento che avverrà, senza bisogno di utilizzare il concetto di probabilità. Per esempio, conoscendo esattamente la disposizione delle palline contenute in un’urna, l’inclinazione della mano che vi s’introduce e il momento esatto in cui la mano afferrerà una pallina, potremmo sapere a-priori l’esito dell’estrazione. Ciò, tuttavia, presuppone una conoscenza completa del mondo che ci circonda, all’interno di un processo assolutamente ideale. Dato che l’uomo non possiede e non avrà mai tutte le informazioni necessarie a rendere inutile il concetto di probabilità, dobbiamo chiederci con che tipo di probabilità la mente lavori.

La mente umana, in effetti, sembra poco avvezza alla probabilità oggettiva. Dobbiamo cioè iniziare a pensare che la probabilità che dato evento di avveri sia legato alle nostre credenze, alle nostre rappresentazioni del mondo. Secondo alcuni studiosi (come J. Good, 1962), dunque, il concetto di probabilità può essere descritto come il frutto dell’intuizione. In pratica, la probabilità soggettiva non sarebbe necessariamente conseguenza di una certa esperienza, di un apprendimento, ma potrebbe derivare dal funzionamento intrinseco della mente. Questa sarebbe, dunque, un sistema, in grado di associare a un dato evento un certo livello di probabilità, riconducibile al grado di fiducia che l’individuo ha circa il verificarsi di un determinato evento.

La rilevanza empirica delle probabilità soggettive è testimoniata dall’esistenza stessa del fiorente mercato delle scommesse. Se sul derby Milan-Inter Gianni scommette 10 euro sul Milan e Sandro 10 euro sull’Inter è perché i due individui, magari anche a parità di propensione al rischio, hanno sviluppato credenze diverse circa le possibilità di vittoria dell’una e dell’altra squadra. Partendo da questo concetto Savage integrò aspetti soggettivi e oggettivi, dando luogo alla nota teoria dell’Utilità Attesa Soggettiva (UAS), che prevede che il decisore ponderi l’utilità percepita (l’attrattività o la desiderabilità) di ogni possibile esito con la relativa probabilità soggettiva (una sorta di credenza circa la possibilità che un certo evento si possa verificare).

Il paradosso di Ellsberg

Un’urna contiene 30 biglie rosse e 60 biglie blu o bianche (non è nota la proporzione fra queste). Si deve scegliere un’opzione da ciascuna delle seguenti coppie prima dell’estrazione di una biglia.

a-           Si vincono 100 euro se la biglia estratta è rossa (nulla altrimenti).

b-         Si vincono 100 euro se la biglia estratta è bianca (nulla altrimenti).

Oppure:

c-           Si vincono 100 euro se la biglia estratta è rossa o blu (nulla altrimenti).

d-         Si vincono 100 euro se la biglia estratta è bianca o blu (nulla altrimenti).

 

Il gioco proposto da Ellsberg (1961) implica una situazione di ambiguità, poiché esiste incertezza sulla distribuzione di probabilità tra biglie bianche e blu. Le risposte che si ottengono nel gioco sono tipicamente la preferenza di “a” su “b” e di “d” su “c”. Tuttavia, questo pattern decisionale segnala che gli agenti tendono a evitare l’ambiguità, mentre esso non è compatibile con alcuna distribuzione soggettiva, ma coerente, di probabilità tra biglie bianche e blu.

Dal momento che in “d” la probabilità di vincere 100 euro è ben definita e uguale a 2/3, la preferenza della lotteria “d” sulla lotteria “c” sembra implicare che il soggetto pensi che ci siano nell’urna meno di 30 palline blu; solo così infatti si ottiene che in “c” si vince lo stesso ammontare con una probabilità inferiore a 2/3. Ma se l’agente credesse che nella seconda urna ci siano meno di 30 biglie blu dovrebbe concludere che ce ne sono più di 30 bianche. In questo caso la probabilità di vincere nella lotteria “b” sarebbe maggiore di 1/3 e questa dovrebbe essere quindi preferita alla lotteria “a” in cui si vincono 100 euro esattamente con 1/3 di probabilità.

L’evidenza tuttavia contraddice questa conclusione, mostrando che la scelta dei giocatori tende a orientarsi a favore degli esiti in cui non c’è ambiguità (“a” e “d”) piuttosto che in base a una distribuzione soggettiva ma coerente di probabilità. L’ambiguità influisce quindi sulle scelte.

 

Insomma, decidere in stato di incertezza non è facile, in quanto è in primo luogo necessario tollerare l’incertezza, porsi degli obbiettivi e dei criteri decisionali. Tuttavia, è ciò deve fare un decisore!