Decisioni Incerte II
La malattia asiatica e altri frame
Secondo una visione razionale della decisione, ogni qualvolta ci troviamo di fronte a un’informazione dovremmo essere in grado di estrarre da essa ciò che essenziale per i nostri scopi. Ciò significa affermare che indipendentemente dal modo in cui un’informazione viene descritta, l’elaborazione del relativo contenuto porterà ai medesimi dati di realtà. Ad esempio, le due affermazioni “il tempo è abbastanza bello” e “il tempo non è così poi così brutto” contengono lo stesso dato di realtà che dovremmo essere in grado di cogliere ascoltando un ipotetico interlocutore, anche se i due messaggi possono veicolare sfumature differenti. Tali sfumature rappresentano delle informazioni marginali. Dunque ascoltando l’una o l’altra frase dovremmo essere in grado di inferire le medesime conseguenze (ad esempio, decidere di uscire con l’ombrello o senza). Simili principi sono contenuti nel cosiddetto assioma di invarianza descrittiva. In termini logici, infatti, la descrizione di un dato non può essere considerato una variabile in senso stretto, ma soltanto un fattore di contesto, che al più necessita di un lavoro di elaborazione cognitiva maggiore o minore. Tuttavia, l’esperienza di tutti i giorni ci porta immediatamente a riflettere su questi argomenti. E’ proprio vero che il modo in cui una informazione ci viene descritta non influenza il modo in cui utilizziamo la stessa? La risposta sembra essere immediata: no!. Anche solo considerando il semplice fattore complessità, ci rendiamo conto come un’informazione descritta in modo troppo complessa può avere degli effetti sul nostro modo di ragionare e quindi di prendere decisioni a partire da essa. Ma non è solo la complessità ad entrare in gioco. Lo studio scientifico della comunicazione ha messo in luce come le parole sono tutt’altro che semplici astrazioni dotate di un valore puramente convenzionale. Una parola, infatti, è in grado di evocare determinate emozioni, esperienze, ricordi. E in questo modo, anche un semplice vocabolo può attivare percorsi di senso specifici, modulando così lo spazio del problema in cui ci muoviamo, mettendo in luce alcune soluzioni e allontanandone altre: a volte rendendo alcune di esse invisibili, impensabili.
Questa particolarità della mente umana, quella cioè di essere guidata dalla caratteristiche formali e non solo sostanziali del mondo con cui entriamo in contatto, è generalmente catturata dal cosiddetto effetto framing. Tversky e Kahneman (1981) in un famoso esperimento mostrarono la potenza dell’effetto framing.
I due studiosi proposero a un gruppo di soggetti il seguente quesito:
Immaginate che gli Stati Uniti si stiano preparando ad affrontare una malattia asiatica che dovrebbe causare la morte di 600 persone. Per fronteggiare questo evento vengono proposti due programmi di intervento alternativi:
Condizione 1
Un gruppo deve scegliere tra due piani di intervento alternativi
- Piano A: 200 persone saranno sicuramente salvate
- Piano B: saranno salvate 600 persone con 1/3 di probabilità e nessuno si salverà con 2/3 di probabilità
A un secondo gruppo di soggetti, invece, proposero la seguente versione:
Condizione 2
Un altro gruppo deve scegliere tra due piani formulati diversamente e cioè:
- Piano C: 400 persone sicuramente moriranno
- Piano D: nessuno morirà con 1/3 di probabilità e 600 persone moriranno con 2/3 di probabilità.
In che cosa i due problemi vi sembrano diversi?
I
n breve vi salterà all’occhio che in effetti si tratta dello stesso problema, con i medesimi valori di utilità, ma espressi in modo differente. Ebbene i nostri autori hanno trovato che mentre nella versione 1 il 72% dei soggetti sceglie l’opzione A; nella seconda versione, invecem la scelta si sposta sull’opzione B (78% dei partecipanti al loro studio). Il dato è da considerarsi attendibile anche in relazione a successivi studi. Perché questa differenza? Le risposte possono essere in realtà molteplici. Tuttavia, l’inferenza più immediata riguarda certamente il diverso impatto emotivo delle parole utilizzate nelle due versioni: salvare delle vite risulta decisamente più rassicurante che non produrre delle morti certe, per quanto salvare qualcuno e non tutti, implichi comunque produrre dei morti. In questo caso, le due diverse formulazione sembrano guidare l’occhio umano e i correlati processi attentivi in modo molto potente, e automatico, in virtù del valore evocativo delle parole utilizzate. Valore ovviamente mediato sia da fattori soggettivi che culturali. Slovic parla in questo senso di “affect heuristics”, un euristica dell’emotività.
Per capire di cosa si tratta dobbiamo tornare sul costrutto di euristica. L’euristica rappresenta un meccanismo di abbreviazione dei processi cognitivi. Di fronte a una decisione da prendere, soprattutto ma non solo, sotto stress temporale è necessario trovare una via rapida per uscire dall’impasse decisionale. Il potere evocativo delle parole può aiutarci, attivando in modo molto veloce reazioni profonde (come il disgusto, la rabbia, la paura o, al contrario, un senso di serenità o tranquillità) e in questo modo orientare la nostra scelta verso l’opzione in grado di farci sentire più a nostro agio. La reazione emotiva a una certa situazione, in effetti, è in grado di indirizzare i nostri processi attentivi. Quando uno stimolo è valutato come pericoloso (e ciò avviene in modo automatico e quindi molto veloce), la nostra attenzione si focalizza su di esso. Sia che si voglia scappare, infatti, sia lo si voglia affrontare in modo diretto dobbiamo tenere l’oggetto del pericolo sotto stretto controllo, anche a discapito di ciò che è più marginale. Naturalmente vale l’opposto per le emozioni positive: l’attenzione può essere meno focalizzata, poiché ci sentiamo a nostro agio nel contesto in cui ci troviamo. In questo modo l’emozione funge da modulatore dei processi attentivi o, se vogliamo, da filtro attenzionale: ciò che ci attiva, ci attira, e più siamo attivati in modo negativo più ci focalizzeremo sui alcuni particolari a discapito di altri. Ecco dunque che attraverso il potere evocativo delle parole, e quindi attraverso la capacità di alcuni frame di attivarci in un modo o nell’altro, i nostri processi decisionali possono seguire strade anche molto diverse, se pur in presenza di situazioni molto simili, se non addirittura identici sul piano del contenuto.
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