Decidere nell’incertezza 

Frame e avversione alle perdite

Gli studi Tversky e Kahneman hanno più volte mostrato una tendenza generalizzata delle persone a mostrarsi avversi alle perdite e più conservativi rispetto alla vincite.  Ciò si evince dalla funzione di valore empirica descritta dagli studio (vedi figura) che associa guadagni e perdite (sull’asse delle x) alla relativa desiderabilità o utilità (asse delle y)

In pratica, quello che i due studiosi notarono è che la desiderabilità di vincere una certa cifra è inferiore, anche di molto, rispetto alla desiderabilità di non perdere la medesima quantità di denaro. Da ciò consegue una spiccata tendenza a scegliere alternative rischiose quando ciò consente di sperare di non perdere nulla. Al contrario, quando si tratta di vincite, le persone si mostrano piuttosto avverse al rischio.

Ad esempio, molti preferiscono acquistare un “gratta e vinci” da 3 euro, piuttosto che uno da5 euro, anche se quest’ultimo è associato a una vincita potenziale molto più alta. Considerando che la vincita massima di entrambi i giochi è molto improbabile e che la differenza di prezzo è di soli 2 euro, si può considerare questo atteggiamento un esempio di avversione al rischio. Se al contrario, un individuo fosse chiamato a scegliere fra scommettere 3 euro su un gioco che presenta il 90% di non vincere nulla (cioè perdere 3 euro) e il 10 % di perdere 10 euro, o scommettere 5 euro su un gioco che presenta il 99% di probabilità di perdere 10 e l’1% di non perdere nulla (recupero dei 5 euro spesi), probabilmente molti sceglierebbero questa seconda possibilità, per quanto ben più rischiosa della prima.

Infine la funzione di valore si mostra più ripida per le perdite che per i guadagni. Quindi all’aumentare della potenziale perdita il valore di utilità della posta in palio decresce più velocemente di quanto non cresca all’aumentare dei potenziali guadagni.

Un’ipotetica curva della funzione di valore, secondo i due autori, avrebbe una forma simile a quella mostrata in figura (vedi sotto)

 

Si ribadisce che questa funzione per essere definita necessita di rilevazioni empiriche e quindi il suo andamento può variare in funzioni di questi. Essa cioè non è definita in modo univoco, ma rappresenta una curva ipotetica.

E’ importate sottolineare ancora una volta l’importanza dei fenomeni legati all’avversione alla perdite. L’uomo, infatti, tende a privilegiare la salvaguardia della propria incolumità, e in questo l’avversione alle perdite sembra trovare una radice biologica. L’uomo, come qualsiasi altro animale, deve privilegiare l’avverarsi e il ripetersi delle scelte che si sono rivelate vincenti o comunque non nocive, come la scelta di un certo cibo. Tuttavia, è fondamentale anche evitare le conseguenze negative a una certa scelta. Ora, scegliere un cibo A nutriente, ma non troppo, rispetto a un un cibo B più nutriente e ricco di vitamine (entrambi quindi noti e considerati sicuri) è senz’altra sub-ottimale, ma non letale. Si potrebbe dire che in condizioni normali A è una buona scelta, mentre B, magari più difficile da trovare, potrà essere una scelta saltuaria, un buon compromesso in base al qual giustificare la scarsa propensione al rischio.

Al contrario, scegliere fra un cibo C, sicuro, e un cibo D tossico, può fare la differenza. L’uomo, come ogni altro animale, deve minimizzare la possibilità di scegliere D, in quanto ciò potrebbe essere fatale. Di conseguenza, anche se D può essere più facilmente raggiungibili, di fronte a una potenziale perdita, l’animale dovrà mostrarsi più propenso al rischio e, magari, inoltrarsi in un territorio più difficile piuttosto che rischiare la scelta sbagliata. Questo fenomeno è facilmente osservabile nel campo della salute. Di fronte a una malattia l’uomo si mostra molto propenso al rischio nella scelta dei trattamenti. Una terapia sperimentale, potenzialmente molto pericolosa, ma associata alla possibilità, per quanto poco probabile, di una guarigione è spesso considerata una via accettabile rispetto a una terapia più tradizionale, più sicura, ma magari cronica, tendente cioè a controllare più che curare una malattia. Al contrario, quando la persona è in stato di salute si dimostra molto più conservativo, rinunciando facilmente a mettere in atto comportamenti più salutari e diminuire il rischio di danni lontani nel tempo. In questo caso la prospettiva di guadagno sembra poco allettante.

Le posizioni appena descritte ci portano a parlare del concetto di FRAME (cornice o, meglio, contesto). Torniamo alla figura. Se ci collochiamo nel quadrante dei guadagni (primo quadrante) tenderemo a vedere le cose in modo piuttosto neutro e mostreremo una sostanziale avversione al rischio.

Se invece ci collochiamo nel quadrante delle perdite (terzo quadrante) allora vedremo le cose in modo “allarmistico” o “allarmato” e mostreremo una sostanziale avversione alle perdite.

Ora, collocarsi nel primo o nel terzo quadrante dipende da una pluralità di fattori, alcuni oggetti altri assolutamente soggettivi.

Per esempio, una persona che ha o ha avuto un familiare colpito dalla Covid-19 posto di fronte alla decisione se uscire o non uscire di casa, probabilmente si collocherà nel frame dei guadagni e mostrerà avversione al rischio. Infatti, l’impatto emotivo della malattia, si spera passata, farà da contrappeso al desiderio di uscire. Il ricordo di quell’evento farà sì che la persona vorrà evitare di riprovarlo se non a fronte di un enorme vantaggio. Tuttavia, come abbiamo visto, la curva della funzione di valore nel quadrante 1 cresce in modo lento. Quindi passare dallo status quo alla possibilità di uscire non garantirà una aspettativa di soddisfazione e piacere (ricompensa) tale da controbilanciare la paura di riavere l’impatto emotivo già provato. In questo senso, la possibilità di uscire (cioè il rischio) verrà considerato troppo poco premiante per essere corso.

Al contrario, chi non ha avuto un impatto emotivo dovuto a un “confronto diretto” con la malattia, di fronte alla medesima possibilità si collocherà con più facilità nel frame delle perdite. Anziché pensare in termini di “valore del piacere di uscire” tenderà a pensare nei termini di “perdita del piacere di uscire”. Tale perdita non verrà controbilanciata da un’esperienza emotivamente forte e dunque correre il rischio legato alla decisione di uscire sarà considerato piccolo rispetto alla sofferenza che si proverebbe restando in casa. Ovviamente è solo un’ipotesi, poiché altri fattori potrebbero condurre verso decisioni differenti.

Per ora abbiamo parlato di normali cittadini posti di fronte a scelte banali. Tuttavia, lo stesso meccanismo è attivo della mente di ognuno, anche di esperti, politici, medici e scienziati. Ognuno di questi decisori si deve confrontare con i meccanismi impliciti, automatici e dunque inconsci che spingono verso giudizi e decisioni anche in virtù del frame che si è attivato. Certo un frame non determina una decisione. Un frame può essere cambiato. Ma è necessario essere consapevoli di questi effetti e attuare le opportune contromisure.  

In un prossimo contributo approfondiremo il concetto di frame.